Come ricorderete, dall’analisi del materiale raccolto nel 2013, erano emerse anomalie degne di nota che ci hanno spinto a chiedere, all’Amministrazione Comunale, la possibilità di approfondire – con una nuova indagine, quanto da noi rilevato quasi quattro anni fa.
Il Castello di San Zeno è una complessa struttura a protezione dell’entrata alla città, costituito dall’androne di passaggio, da quattro ambienti dislocati che racchiudono un ampio cortile interno, dal corpo veneziano, dalle due torri angolari e dall’imponente mastio eretto il 1242, quando Ezzelino III da Romano, dopo averlo dato alle fiamme, volle meglio fortificare la città.
Il mastio alto circa 39 metri, un tempo aveva sette solai di legno ai quali si accedeva tramite botole con scalette a pioli retrattili all’occorrenza. L’ingresso era ad oltre sei metri di altezza e per accedere si doveva passare per tutti i sistemi difensivi del maniero.
In origine la torre ezzeliniana era più bassa e, nel corso dei vari rimaneggiamenti subì innalzamenti e, per qualche tempo, ebbe un tetto sul quale era sistemata una cabina per vedetta e segnalazioni. All’interno, i muri perimetrali hanno uno spessore molto grande nei piani a livello del terreno per poi assottigliarsi man mano che si procede verso l’alto. A varie altezze si trovano le feritoie che, all’interno, si allargano in aperture grandi tanto da ospitare un arciere.
Questo castello, nella sua storia, vide avvicendarsi gli Estensi, Ezzelino da Romano, le schiere armate della Repubblica padovana, Cangrande, i Carraresi, i Visconti ed ancora i Da Carrara, infine, quasi stabilmente, fu la Repubblica della Serenissima a tenerlo fino al periodo napoleonico; gli Austriaci invece lo occuparono fino all’unità d’Italia.
LEGGENDA
Nel 1388, all’arrivo delle truppe della Repubblica della Serenissima, Francesco il Vecchio, fuggì da Padova scortato dalla famiglia e da un drappello di fidati tra cui Tommaso da Mantova. Prese la via di Monselice e quindi Este dove divise il gruppo e, indirizzata la moglie verso Vighizzolo, continuò in direzione di Montagnana dove trascorse la notte, sotto la protezione del podestà della città, Bartolomeo da Cuccolo. L’indomani, Francesco il Vecchio, lasciata la Rocca degli Alberi, riprese la via verso Cologna Veneta senza constatare la mancanza di alcuni del seguito, imprigionati dagli sgherri di Giovanni Galeazzo e Jacopo dal Verme. Una fortezza inespugnabile, così veniva dipinta, da sempre la Rocca, finché gli insorti l’occuparono e Tommaso da Mantova, caduto vittima di una ribellione popolare, giustiziato.
La leggenda vuole che lo spettro del teologo e letterato vaghi nelle sale di Castel San Zeno inveendo contro i Carraresi ed i montagnanesi, suoi aguzzini.
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Galleria fotografica puntata pilota format
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